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domenica 11 marzo 2018

Carlo Goldoni, lucido e visionario economista

Lucidissimo economista, nelle sue commedie Carlo Goldoni non descrive banalmente lo scontro tra padri spilorci e figli dissipatori, ma le contraddizioni di un'economia malata nella quale l'eccesso di spesa è contemporaneamente una necessità vitale e un rischio mortale.
Quando parliamo di Goldoni ci pare d'avere a che fare con un Molière minore, e per giunta tardivo; con un giocoso dipintore dei vizi della società del suo tempo; e un poco persino con un venditore di gondole, che ci accompagna nelle pittoresche atmosfere del Settecento veneziano. Tutto questo basterebbe a tenerci lontani dalla sua opera, come alcuni stanno ormai lontani dalla città di Venezia... 
E tuttavia sarebbe un errore, perché Carlo Goldoni fu molto di più. Più di un venditore di gondole, beninteso; più di un moralista o d'un immoralista; e più di Molière, se vogliamo.
Con Goldoni siamo già piuttosto dalle parti di Honoré de Balzac ovvero alla nascita di un'arte intesa come scienza, come paradigma conoscitivo, e in particolare come modello dei rapporti economici. Ma Balzac nasce 5 anni dopo la morte di Goldoni, perché scomodarlo? Andiamo con ordine, e scomodiamo di conseguenza.
Nato nel 1707, morto nel 1793, Carlo Goldoni fu contemporaneo di Adam Smith, nato nel 1723, morto nel 1790.
Il cruccio scientifico di Goldoni, se teniamo fede alle sue dichiarazioni programmatiche, sembra non essere altro che quello di rappresentare con la massima precisione i vari tipi umani, ovvero dei caratteri universali in cui ciascuno possa riconoscersi. Non c'è nulla di originale in questo: si chiama commedia di costume, ed è appunto il genere in cui eccelleva Molière. Non è neppure troppo dissimile dalla Commedia dell'Arte con i suoi padroni burberi i suoi servi sfaticati. 
Se si trattasse solo di questo, il merito di Goldoni, nel proporre la sua commedia di carattere, non sarebbe altro che d'aver raffinato la tecnica, aggiornandola alla società borghese. Tuttavia l'autore veneziano non si limita a far sfilare questi caratteri in “scene accozzate senz'ordine e senza regole”, né - come Molière - tesse trame con l'unico scopo di far emergere i personaggi paradigmatici: l'avaro, il borghese gentiluomo, il tartufo, il malato immaginario, il misantropo, eccetera.
Al contrario, e soprattutto nelle commedie d'ambiente, il genio di Goldoni sta nell'aver messo in scena, piuttosto che dei tipi umani, dei tipi di situazioni che drammatizzano i meccanismi economici del capitalismo nascente.
In effetti, le azioni e i moventi di cui è fatto il teatro goldoniano sono spesso di natura contrattuale, monetaria, finanziaria, creditizia, speculativa. In questo senso Carlo Goldoni è più di un semplice testimone, che descrive in maniera confusa sintomi ed epifenomeni: sulla scena egli è in grado di ordinarli, esaminarli, collegarli, sistematizzarli.
La “Trilogia della villeggiatura” è in questo senso rappresentativa. La villeggiatura è definita da Goldoni “una mania, una passione, un disordine”, poi ancora un “fanatismo” una vera e propria patologia che produce debito, ma è sulla scena “feconda di ridicolo e di stravaganze”. Dunque qual è il legame tra la villeggiatura e la ricchezza delle nazioni?
Lo si capisce leggendo Le smanie per la villeggiatura, primo capitolo della celebre trilogia, quando Vittoria, che vuole farsi comprare un vestito dal fratello sommerso dai debiti, sostiene che rinunciare a una spesa superflua “può far perdere il credito”.
Quello che sembra soltanto il capriccio d'una ragazza viziata, da cui scaturisce l'effetto comico, è in realtà il cuore di un sistema economico nel quale lo spreco onorifico permette di attrarre nuovo capitale e il debito alimenta il credito. Insomma la risposta di Vittoria è tutt'altro che ingenua.
Il rischio estremo cui va incontro è di perdere il credito. Dietro il ridicolo, dietro la vanità, dietro la critica, dietro la follia, Goldoni fa trasparire la tragica ragionevolezza del comportamento di Vittoria, costretta a inseguire freneticamente la moda e combattere l'obsolescenza programmata delle merci.
Perché la sua follia è del tutto ragionevole nel contesto della società in cui vive.
Non sono infatti i personaggi di Goldoni a essere pazzi o banalmente vanitosi, ma l'universo stesso in cui vivono a essere disfunzionale.
Negli anni ruggenti del primo Novecento, poco prima della grande crisi del 1929, a incarnare questo paradosso con malinconica ironia, fu lo scrittore americano Francis Scott Fitzgerald, che in un suo articolo del 1924 per il Saturday Evening Post, consegnò una formula perfetta: “Siamo troppo poveri per risparmiare, il risparmio è un lusso”.

(fonte: R. A. Ventura)

lunedì 16 febbraio 2015

San Marco, il leone alato e la Repubblica di Venezia

Il leone alato (con il libro, ma anche alle volte con un calamaio) è il simbolo dell'evangelista San Marco, patrono della Serenissima Repubblica di Venezia. 
I quattro evangelisti sono tutti accompagnati da un simbolo preciso: oltre al leone di San Marco, l'iconografia ricorda il toro di San Luca, l'angelo di Matteo e l'aquila di Giovanni.
L'origine di questi simboli è antichissima e sembra doversi trovare in un brano di Ezechiele (1, 5-14) con la visione di Dio in trono circondato da quattro esseri animati (tetramorfo). Nell'Apocalisse la visione è di Cristo in trono circondato da 24 vegliardi, ciascuno con un'arpa, da sette lampade di fuoco e dalle stesse quattro creature di Ezechiele che divengono poi i simboli degli evangelisti.
Nel Medioevo, gli esegeti trovarono anche la giustificazione dei simboli e precisarono che San Marco è rappresentato dal leone in quanto il suo Vangelo (il più breve) inizia con la voce maestosa di Giovanni Battista che "ruggisce" nel deserto "conforme a quanto sta scritto in Isaia profeta".
Avventurosa la vita di questo santo, compagno degli Apostoli, figlio di una Maria vedova, proprietario di una casa a Gerusalemme ove si rifugia Pietro uscito miracolosamente di prigione. Iniziato alla vita apostolica dal cugino Barnaba, Pietro lo considera come un figlio, mentre i rapporti con Paolo sono più difficili (e come dargli torto...).
Antiochia, Cipro, Roma sono alcune delle tappe dei viaggi di Marco, il quale avrebbe poi predicato in Alessandria d'Egitto dove sarebbe stato martirizzato al tempo di Traiano, col fuoco o forse trascinato per le vie con una fune legata al collo.
Intorno all'anno 828, Buono (tribuno di Malamocco e Rustico da Torcello (mercante) sbarcano, con altri compagni, in Egitto e trafugano il corpo di San Marco, già allora venerato dai cristiani in Oriente, sostituendolo nell'urna con quello della Beata Claudia. Per sfuggire ai controlli, la reliquia viene nascosta tra carni di maiale, considerata immonda dai Saraceni.
L'ultimo giorno di gennaio dell'anno 829, San Marco viene accolto trionfalmente dal Doge e dai veneziani, e diviene il simbolo della nascente Repubblica, sostituendo San Teodoro di origine greca, anche in un empito di autonomia nei confronti dell'Impero d'Oriente.
Comincia subito la costruzione della basilica ad in essa viene posto il corpo di San Marco, forse nella cripta; poi ritrovato nel 1094 in un'urna dentro ad un pilastro. Davanti a questo pilastro è accesa una lampada perenne a ricordo dell'avvenimento. La scoperta del 1811, in epoca napoleonica, e la ricognizione del 1835, durante il dominio austriaco, completano la storia della reliquia che adesso è deposta sotto l'altare maggiore della basilica.
La leggenda narra che Marco, prima di recarsi ad Alessandria, sarebbe stato ad Aquileia (di cui alcuni lo vogliono vescovo). Partendo da questa località, si ferma nella laguna veneta per riposarsi (proprio dove oggi sorge la chiesa di San Francesco della Vigna, alle cui spalle ancora c'è una piccola cappella a ricordo dell'avvenimento, oggi trasformata in magazzino...). Durante la notte ivi trascorsa, gli appare un angelo che gli predice che in quelle isole vi sarebbero stati abitanti straordinari, a lui devoti, e che le sue ossa qui avrebbero trovato riposo, e lo saluta a nome di Cristo, con la celebre frase: "Pax tibi Marce evangelista meus". Sono appunto le parole che appaiono sul libro aperto del leone alato. L'esistenza della parola "pax" porta a chiudere il libro in caso di guerra.
San Marco è dagli storici spesso identificato nel Vangelo, al momento dell'arresto di Gesù, nel ragazzo che stava seguendolo "avvolto solo di un panno di lino. Tentarono di afferrarlo, ma lui, lasciato cadere il panno, se ne fuggi via nudo".