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domenica 30 agosto 2015

Viaggio a Venezia, 1914

Les valises dans la gondole, 
qu'elle prenait la main de son mari : Tu as eu raison, dit-elle. 

On en peut varier a l'infini l'occasion, 
le vertige spontané qui saisit le voyageur 
débarquant à Venise reste toujours de cette qualité-là. 
Instantanément tout a disparu. 
Plus de souvenirs, plus de soucis, plus rien de la vie qui s'interpose. 
L'ivresse est immédiate, totale et profonde. 
On est pris, entraîné, arraché à la terre, enlevé sur des 
ailes — on a soi-même des ailes ; les coussins si doux de la gondole 
semblent des nuages sur lesquels on repose. 
Demain? Nous verrons bien, il sera temps encore. 
Mais soyons heureux, grisons-nous, glissons comme on court dans les rêves, 
balançons-nous dans la souple barque noire comme on se berce au son des valses. 
Et les palais défilent le long du canal, ainsi qu'au théâtre la toile roulée, 
et qui simule un paysage traversé par un héros en marche. 
Un monde irréel s'offre à nous ; pour la première fois, l'impossible est arrivé. 
Tendons les mains pour le saisir! 
Et il ne s'enfuit pas, il ne s'évanouit pas en fumée ; notre étreinte le serre ; 
nous le tenons, le touchons, le caressons, il est à nous enfin.  
 
(André Maurel)
 
 
 
Le valigie in gondola, lei prese la mano del marito:
- Avevi ragione, disse.

Si può cambiare l'occasione all'infinito, ma la vertigine spontanea 
che coglie il viaggiatore quando sbarca a Venezia, rimane di questa qualità. 
Immediatamente tutto scompare. 
Niente ricordi, niente preoccupazioni, 
nulla della vita che si interpone. 
L'ubriachezza è immediata, totale e profonda. 
Si è catturati, trascinati, strappati dalla terra, sollevati da ali 
- abbiamo in noi stessi le ali;  i cuscini morbidi della gondola 
sembrano nubi su cui riposare. Domani? Vedremo, ci sarà tempo. 
Ma cerchiamo di essere felici, noi così grigi, scivolando 
come si corre nei sogni, ondeggiando nella morbida barca nera 
come cullandosi a suon di valzer. 
E i palazzi che sfilano lungo il canale, come una tappezzeria teatrale 
che simula un paesaggio attraversato da un eroe in cammino. 
Un mondo irreale si offre a noi; per la prima volta, 
l'impossibile è accaduto.
Tendiamo le mani per afferrarlo! Non fugge, non svanisce come fumo, 
il nostro abbraccio lo trattiene; lo tocchiamo, lo accarezziamo, 
finalmente è nostro.
 
("Quindici giorni a Venezia", André Maurel)
 

venerdì 24 maggio 2013

Wagner a Venezia

Dopo un primo soggiorno dal 1856 al 1859, Richard Wagner e la sua famiglia tornarono a Venezia nel 1882. Dapprima alloggiarono all'hotel Europa poi si trasferirono a Cà Vendramin-Calergi.
Il loro appartamento era all'ammezzato nell'ala affacciata sul giardino, era formato da 28 stanze, cucina e servizi; Wagner apprezzava soprattutto la grande sala per ricevere gli ospiti, la cui doppia finestra offriva una splendida vista sul Canal Grande.
Franz Liszt, che andò a trovare la figlia Cosima e il genero, soggiornò a Cà Vendramin-Calergi sul finire del 1882. Liszt e Wagner furono visti spesso seduti uno di fronte all'altro, davanti all'ampia finestra sul Canal Grande, mentre chiacchieravano. Fu proprio qui che Liszt scrisse la prima stesura de "La lugubre gondola" ispirata dai remi di una gondola che, racconta gli "bastonavano il cervello".
Ma a Wagner non sarà concesso di godere a lungo della bella casa veneziana. Egli infatti morirà, nel suo studio, il 13 febbraio 1883, a causa di una paralisi cardiaca.
Le sue spoglie furono trasportate via gondola alla stazione ferroviaria e da lì in treno fino in Baviera. D'Annunzio descrisse il trasporto della salma di Wagner nel suo romanzo "Il fuoco" scrivendo "Il mondo pareva diminuito di valore", sempre D'Annunzio dettò le parole per la lapide posta sul muro esterno del palazzo, verso il Canal Grande. Il 19 aprile venne organizzato un concerto in suo onore nel giardino del palazzo, concerto al quale assistettero centinaia di barche ormeggiate in Canal Grande.
Spesso, durante i suoi numerosi soggiorni a Venezia, a Wagner capitava di assistere in Piazza San Marco a concerti tenuti dalle bande musicali militari austriache che suonavano sue opere. I veneziani ascoltavano volentieri, ma non applaudivano mai; non per mancata ammirazione verso Wagner ma per dispetto verso i militari austriaci.
La vigilia di Natale del 1882, per festeggiare il compleanno della moglie Cosima, Wagner diresse un concerto privato nelle sale Apollinee della Fenice. Fu suonata la Sinfonia in Do maggiore, opera giovanile, eseguita dagli allievi e dagli insegnanti del Liceo Benedetto Marcello (la bacchetta è stata gelosamente conservata). Liszt era presente, e su richiesta di Wagner, suonò al pianoforte un'aria di Rossini.

martedì 10 gennaio 2012

Il Canal Grande, la strada più bella del mondo

"Mi condussero lungo la grande strada, che essi chiamano il Canal Grande, e che è davvero molto larga,
le galee vi passano attraverso e vidi navi di quattrocento tonnellate e più vicino alle case.
E' davvero la strada più bella che ci possa essere, io credo, nel mondo, e la più ben costruita, e attraversa tutta la città.
Le case sono molto grandi e alte, di buona pietra e quelle antiche sono tutte dipinte, quelle fatte da cento anni in qua hanno la facciata in marmo bianco, che giunge dall'Istria a cento miglia da là..."

Philippe de Commynes, ambasciatore francese, fine del XV secolo

lunedì 19 dicembre 2011

Il mistero di Ca' Dario

Affacciato sul Canal Grande, tra l'Accademia e la Salute, si trova uno dei più affascinanti palazzi di Venezia: Ca' Dario. Non molto alto, piuttosto stretto (la facciata è più corta di una gondola) e inclinato verso destra, ha una splendida facciata rinascimentale in pietra d'Istria, decorata con marmi policromi e medaglioni circolari.
Il palazzo venne fatto realizzare da Giovanni Dario nel 1487, su un preesistente edificio gotico, ispirato ai modi di Pietro Solari detto il Lombardo.
Giovanni Dario era un mercante di origine cretese, ma fu anche uomo dotato di grande personalità, cultura umanistica e diplomazia, tanto che divenne notaio della Cancelleria Ducale; ma soprattutto viene ricordato per aver negoziato l'accordo di pace del 1479 con il sultano Mehmet II.
Alla sua morte il palazzo passò in eredità alla figlia Marietta, che andò in sposa a Vincenzo Barbaro e da questi al figlio Gasparo. Il palazzo restò della famiglia Barbaro fino alla fine del Settecento.
Da quel momento accadde qualcosa di strano al palazzo che divenne foriero di disgrazie di ogni sorta per chi ne divenne proprietario.
Riportiamo qui solo alcuni esempi:
- Un commerciante armeno di pietre preziose, Arbit Abdoll, fece bancarotta poco dopo aver acquistato il palazzo - Rawdon Brown, ai primi dell'800, si suicidò all'interno del palazzo insieme al compagno, probabilmente a causa dello scandalo provocato dal loro legame omosessuale - Henry De Reigner si ammalò gravemente dopo l’acquisto del palazzo e fu costretto a tornare in Francia - Il conte Giordano delle Lanze, venne ucciso nel palazzo, colpito alla testa con un vaso dal marinaio croato di 18 anni che viveva con lui e che dopo l’omicidio fuggì a Londra, dove venne a sua volta assassinato -  Il manager degli Who, Christoph Lambert, vi muore d’infarto  -  Nel 1964 si fece avanti il tenore Mario Del Monaco che però ruppe le trattative quando, mentre si stava recando a Venezia per perfezionare la compravendita, fu vittima di un gravissimo incidente stradale che ne interruppe per lungo tempo l'attività - All'inizio degli anni Ottanta il palazzo venne acquistato da un uomo d’affari veneziano, Fabrizio Ferrari, che vi si trasferì insieme con la sorella Nicoletta: anch'egli fece bancarotta in poco tempo mentre la sorella morì in un incidente stradale senza testimoni - Alla fine degli anni Ottanta il palazzo venne acquistato dal finanziere Raul Gardini, il quale, dopo una serie di rovesci economici e il coinvolgimento nello scandalo di Tangentopoli, si suicidò tragicamente pochi anni dopo.

Qualcuno ha fatto notare che sulla facciata del palazzo che dà sul Canal Grande si può leggere "Urbis Genio Joannes Darius", che significa "Giovanni Dario al genio della città", ma anagrammando la frase latina diventa: "Sub ruina insidiosa genero", cioè "genero insidiose rovine a chi abita sotto questo tetto".

lunedì 12 luglio 2010

Fresco letterario in Canalasso

Giovedì scorso ho avuto l'opportunità di partecipare al "Fresco letterario in Canalasso 2010".
E' stata una bellissima esperienza: decine di barche a remi lungo il Canal Grande, veneziani appassionati e associazioni remiere, per non dimenticare il passato di Venezia, mangiando, bevendo, godendosi il tramonto e i racconti di Alberto Tosi Fei.
Io poi sono stato particolarmente fortunato giacché ero in compagnia di amici su una vera gondola!

Ma cos'è un "fresco"?
Si tratta di una antica tradizione veneziana, in pratica sono cortei di barche, così chiamati perché vi si prendeva il fresco nelle giornate calde. Tali incontri cominciavano dopo Pasqua e si svolgevano in occasione di feste o sagre, verso il calar del sole, vi si partecipava con la propria gondola, per mangiare, bere e ciacolare tra amici.

I freschi furono anche cantati dal poeta secentista Busanelli:

L'istae al fresco gondole a do remi 
Se vede in Canal Grande senza fin
E in mezzo l'armonia di un violin
Se va gridando sempre o stali o premi

Qui trovate alcune foto che ho scattato durante la serata
.

venerdì 28 maggio 2010

Franchetti

La Cà d’Oro fu fatta costruire da Marino Contarini nel 1400 in pieno stile gotico fiorito e fatto decorare con sottili lamine d’oro (da cui il nome) che lo resero immediatamente il palazzo più ammirato del Canal Grande. I Contarini abbandonarono il palazzo a fine ‘700 con la caduta della Repubblica. Fu poi acquistato da un principe russo che ne affidò il restauro ad un ingegnere tedesco che fece uno vero e proprio scempio. Fortunatamente alla fine del 1800 fu acquistato dal Barone Giorgio Franchetti (nobile famiglia di lontane origini mantovane), che lo restaurò ispirandosi al disegno originario, ricreando in pratica l’ambiente di una ricca casa di un patrizio nel 1400; ma fin dall’inizio il suo intento non era di farne una dimora ma di realizzare un vero e proprio museo e di ospitarvi la propria collezione di opere d'arte per renderla visitabile al pubblico. Nel 1916 Franchetti stipulò un accordo con lo Stato Italiano nel quale si impegnò a cedere il palazzo al termine dei lavori in cambio della loro copertura finanziaria. Il 18 gennaio del 1927 venne inaugurato il museo intitolato "Galleria Giorgio Franchetti" alla memoria del barone, scomparso nel 1922.

Il personaggio più avventuroso della famiglia Franchetti è senz’altro l’esploratore Raimondo (1981-1935) che dalle Montagne Rocciose, ai Mari della Cina, all’Africa, viaggiò senza sosta (a parte la parentesi della prima guerra mondiale a cui partecipò).
Ventenne, fu abbandonato su un’isola in Malesia, poiché sull’imbarcazione su cui viaggiava era scoppiata la peste e così, si ritrovò a vivere da solo con una tribù locale per circa un anno.
Fu ritrovato da una missionaria inglese quando ormai tutti lo davano per morto.
Nel 1911 documentò la rivoluzione in Cina.
Nel 1920 sposò a Venezia (nel palazzo Cavalli-Franchetti sul Canal Grande) la contessina Bianca Rocca, discendente per parte di madre dalla famiglia dei dogi Mocenigo, da cui ebbe quattro figli.
Il paese che segnò la sua vita fu però l’Africa, dove, a più riprese, partecipò a varie spedizioni (spesso accompagnato da Luca Comerio, fotografo ufficiale di Casa Savoia, e pioniere del filmato documentaristico)
Memorabile fu quella in Dancalia sulle tracce della spedizione Giulietti massacrata dai dancali.
Su questa impresa scrisse il libro “Nella Dancalia etiopica”, e in ricordo chiamò sua figlia Afdera (che sposerà Henry Fonda) dal nome del lago etiope da lui ribattezzato Giulietti.
Morì in un incidente aereo mentre viaggiava con il governatore onorario della colonia eritrea, insieme al quale stavano trattando con il Negus circa la possibilità di evitare la guerra.
L'incidente suscitò immediatamente vasta eco, anche sulla stampa estera e subito, più volte, si parlò di attentato, forse ad opera di agenti britannici, ma le vere cause non furono mai chiarite. Anzi, la commissione di inchiesta inviata dal governo italiano, per probabili ragioni di opportunità politica, dichiarò rapidamente l'impossibilità di appurare le ragioni dell'incidente.

Da ricordare anche Alberto Franchetti, famoso musicista, che collaborò con D’Annunzio e che fu strettamente amico di Puccini e Mascagni, le cui opere furono dirette da Toscanini e da Mahler
.

domenica 9 maggio 2010

Santa Lucia a Venezia

La realizzazione della stazione ferroviaria a Venezia determinò profonde e radicali modifiche che trasformarono l'aspetto dell'ultimo tratto di Canal Grande sia dal punto di vista urbanistico che architettonico.
Il complesso degli edifici allora esistenti fu abbattuto per far posto alla stazione ferroviaria vera e propria e a tutte le attrezzature connesse al nuovo servizio. Scomparvero così non solo la chiesa di Santa Lucia con il suo monastero, ma l'intero quartiere composto dalle case e dai palazzi, edificati in gran parte tra il XV e il XVIII secolo, che prospettavano la fondamenta o le strette calli interne fino a raggiungere la zona retrostante, ancora tenuta ad orti, e l'ultimo, opposto lembo lagunare.
Nel 1846 il ponte ferroviario translagunare era completato e immetteva in città attraverso un'area di raccordo ottenuta in parte con interramenti. Nel 1858 le due rive del Canal Grande venivano collegate da un ponte di ferro.
Il piccone demolitore che distrusse un'intera area abitata cancellandone le testimonianze storiche, sociali e artistiche, si arrestò, nel primi tempi di attività della stazione, alle spalle della Chiesa di Santa Lucia, la cui zona retrostante divenne punto di arrivo e di parcheggio di locomotori e vagoni. Era comunque evidente l'intenzione di acquisire uno sbocco sul Canal Grande.
Tra il 1860 e il 1861 vennero infatti abbattute oltre alla Chiesa le superstiti costruzioni sulla fondamenta, per far posto all'edificio della Stazione passeggeri, secondo una soluzione urbanistica tra le più ovvie e meno intelligenti.

Fonti storicamente attendibili pongono alla fine del XII secolo la costruzione della prima chiesa. Nel 1280, proveniente da San Giorgio Maggiore, dove si trovava fin dall'inizio del secolo, fu traslato il corpo della martire siracusana Lucia, da cui la chiesa prese il nome.
La fabbrica venne ufficialmente consacrata nel 1343. Alla fine del XV secolo presentava forme gotiche, stilisticamente e volumetricamente molto simili a quelle di San Gregorio alla Salute.
Gli edifici del monastero si sviluppavano lungo il fianco sinistro della chiesa e si intestavano verso il Canal Grande in leggero arretramento rispetto al filo degli altri edifici.
Nel 1565 si ha notizia di un  nuovo intervento riferito all'edificazione di una grande cappella per conto di Leonardo Mocenigo che ne aveva affidato il progetto al Palladio. I lavori non ebbero tuttavia facile corso, è anzi probabile che iniziassero dopo la morte dell'artista (1580), poiché l'opera ebbe termine soltanto nel 1589.
L'antica struttura gotica andò così gradualmente sostituita da una nuova, composta secondo il diverso disegno cinquecentesco, in sostanza si può ritenere che l'intervento, limitato all'inizio soltanto alla cappella Mocenigo, si sia esteso a tutto l'edificio gotico, assumendo il carattere di una vera e propria ricostruzione.
La nuova chiesa ebbe così non solo diversa definizione architettonica e stilistica, ma rispose ad un più moderno criterio di funzione con la facciata rivolta al Canal Grande per l'avvenuta inversione dell'orientamento originario.
La nuova chiesa fu consacrata nel 1617.
Nel 1805 il convento fu soppresso e destinato a sede di una scuola per ragazza povere; stessa sorte subì la chiesa che ebbe fin dalle origini titolo parrocchiale.
Con l'abbattimento della Chiesa il corpo di Santa Lucia venne traslato nella vicina chiesa di San Geremia.

Santa Lucia subì il martirio a Siracusa intorno al 304 durante le persecuzioni di Diocleziano. Di nobile famiglia si consacrò a Cristo; rinunciò al matrimonio e donò ogni suo bene ai poveri. Per questo fu denunciata dal fidanzato: venne imprigionata, torturata e decapitata.
Secondo la leggenda si sarebbe da sola rimessa gli occhi, cavati dai torturatori. Il suo culto si diffuse subito dopo la morte.
E' abitualmente rappresentata con gli occhi su un piatto, la palma del martirio o la spada, e viene invocata contro le malattie degli occhi. Il nome deriva dal latino e significa "luce"

Ogni anno il 13 dicembre a Venezia si va nella Chiesa di San Geremia, dietro l'altare, ci si mette in fila lungo la bara di cristallo, si prega accanto alla mummia della Santa. Fino agli anni '60 si poteva fissare Lucia direttamente nelle orbite cave. I veneziani e la Santa si scambiavano uno sguardo salutare: occhi eccessivi, traboccanti per la commozione, erano messi di fronte a occhi manchevoli, estirpati dal martirio. Era un toccasana spalancare le palpebre davanti alle occhiaie vuote di Lucia: le pupille dei veneziani lacrimavano, i cristallini intorbiditi dalla bellezza si lavavano, le retine peccatrici si purificavano. L'orrore dava l'assoluzione alla bellezza: non c'era nulla di macabro in tutto ciò. Purtroppo il Patriarca Albino Luciani, pastore d'anime dall'indole sensibile, qualche anno prima di diventare Papa Giovanni Paolo I e di rivelare alla cristianità tutta che Dio è la Mamma, ha disposto che la faccia della Santa venisse coperta con una maschera d'argento dai lineamenti aggraziati.

Fonti: Umberto Franzoi, Dina Di Stefano, Tiziano Scarpa