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martedì 27 agosto 2013

La maschera di Pantalone, mercante di Venezia

Maschera di Pantalone a Venezia
La compenetrazione radicale tra Venezia e la maschera, pone la questione se fosse il Carnevale ad entrare in tal modo nella quotidianità o se l'ambiguità della maschera si innestasse sulla ambiguità ideologica della società veneziana. Si noti comunque che la maschera di Pantalone, che è la più veneziana, non intende proporre alcun elemento di esotismo o di grottesco, ma soltanto riproporre il prototipo di cittadino veneziano:
"Vada ognun persuaso che questa mascara fosse stata istituita anche prima dell'introduzione delle rappresentazioni teatrali, poiché il vestire di costui denota quello de' cittadini veneti del secolo XVI".

Ricostruendo l'origine del teatro veneziano all'inizio del Cinquecento e segnalandovi la presenza corruttrice di "interlocutori mascherati ridicoli e soggetti a beffe", si rileva tra costoro l'introduzione di un "vecchio cittadino veneziano" che venne chiamato "Pantalone" (sembra dall'abitudine dei mercanti della Serenissima di piantare il vessillo di San Marco ovunque si recassero, per cui detti "pianta leone")
"La maschera veneziana ebbe da principio anche il soprannome di Magnifico. Titolo onorifico molto in uso a Venezia nel secolo XVI, indirizzato soprattutto ai patrizi". Non è improbabile che l'uso di questo titolo venisse anche utilizzato per indicare il lustro e la dignità sociale del mercante veneziano. Titolo infine non disgiunto da un palese intento parodistico, nei confronti di una borghesia che spesso scimmiotta gli attributi dell'aristocrazia.

Dunque originariamente Pantalone non è una maschera ma una caricatura del veneziano modello: mercante, ricco, avaro. Tuttavia alcuni caratteri della maschera (la barbetta a punta, il sopracciglio alzato) sono gli stessi della commedia greca antica.
Spesso Pantalone è raffigurato come un vecchio, perché secondo una tipologia comica già antecedente, i suoi difetti appaiono più marcati e ridicoli. Naso adunco, barba a punta, sopracciglio alzato, sono però anche tratti levantini, quasi giudaici, degni appunto di un "Mercante di Venezia" shakespeariano.
Ma attenzione a quanto avvisava Allardyce Nicoll:
"E' dunque un personaggio d'una drammaticità ben più sottile di quella d'un semplice vecchio logorato dall'età. Nel pensare a Pantalone dovremmo dimenticare il personaggio di Shakespeare, scarno e smunto, i piedi infilati in pantofole, e cerca di vederlo come fu veramente, o almeno come avrebbe dovuto essere: un mercante di mezza età, vigoroso, onesto, con alle spalle una bella carriera, coinvolto in vicende sentimentali cui non sempre riesce a tener testa".

Pantalone vecchio e giovane, dunque. Pantalone vecchio in "La dispettosa moglie" (Alessandro Zatta, 1667). Il "Pantalone imbertonao" ("innamorato"), commedia eponima pubblicata nel 1673, laddove la scena è una Venezia pre-turistica, già piena di "foresti" (l'oggetto dell'innamoramento di Pantalone è una giovane francese...).
Pantalone diventa perfino povero e affronta la "Bancarotta, ovvero il mercante fallito" (Goldoni, 1740). Il trattamento della maschera in Goldoni nella Commedia dell'Arte è particolarmente attento al suo simbolismo depositario di una mentalità in declino.

Ma a parte Goldoni e la suggestione di un Pantalone ebraico, la figura del padrone non sembra aver goduto della medesima fortuna di quella del servitore. Lo stesso Carlo Gozzi, sebbene ben più tradizionalista di Goldoni, presenta il suo Pantalone in modo anacronistico, quasi umiliante. Anche perché i vizi che la maschera doveva incarnare, soprattutto l'avarizia (ma anche la libidine senile), erano destinati, attraverso una lettura severa e a volta nostalgica a trasformarsi in virtù borghese.

Infine i francesi chiameranno "Pantaloni" quei veneziani che:
"Erano pescatori, sono divenuti mercanti, si fecero corsari ed ora sono usurai". E si giunge così al fatale 1797.

Fonti: Alessando Scarsella, Grevembroch, Spezzani, Allardyce Nicoll.

venerdì 24 giugno 2011

La Bautta e la Moretta

Oggi strettamente legato all'occasione stagionale del Carnevale, l'uso della maschera, finalizzato al mantenimento dell'anonimato, un tempo rientrava nella vita quotidiana di Venezia. Un posto d'onore nella mitologia del Carnevale veneziano spetta alla bautta (pronuncia: "baùta"), presente già in diversi quadri di Longhi e di Guardi.
La bautta è da considerare maschera assolutamente originale di Venezia. Bianca, leggermente sorridente per l'ampia sporgenza destinata ad alterare la voce, la bautta  contrasta con il nero del tabarro (ampio mantello) e del tricorno (cappello a tre punte). L'etimologia più convincente del termine è quella che lo fa risalire al "bau", cioè l'uomo nero spauracchio dei bambini. Questo travestimento prevedeva un utilizzo unisex, e risultava particolarmente gradito alle signore dedite al gioco d'azzardo o ad appuntamenti notturni illeciti.
Quasi altrettanto celebre è la moretta, maschera che consiste in un volto nero ovoidale, destinata esclusivamente alle donne, le quali, trattenendola con la bocca grazie ad un morso posteriore, mantenevano l'anonimato e il silenzio. Si ritiene che l'imposizione del silenzio alle donne non fosse casuale...
La personalità certo svanisce dietro l'eccitante esperienza del mascheramento, ma la suo posto non ne sorge un'altra con relativo complesso di significati. L'anonimato e l'incognito garantiti dalle maschere sublimano le funzioni trasgressive e a fondo sessuale connesse con l'ambiguità della maschera. Da qui evidentemente l'immenso successo di queste maschere.

lunedì 7 febbraio 2011

Fare il Listòn

In ogni città esiste, o è esistito, un luogo pubblico dove passeggiare alla sera con gli amici, per mettersi un po' in mostra o cercare nuovi amori. A Venezia, città libertina per eccellenza, questa usanza esisteva già molti secoli fa.
Uno dei più antichi luoghi di queste passeggiate era quello di Campo Santo Stefano, già nel XVI secolo. In quel tempo il campo era erboso, salvo una striscia, una "lista" che era selciata e dove si poteva camminare comodamente avanti e indietro, chiacchierando e facendosi notare. Il passeggio serale si chiamò così listòn.
Si svolgeva principalmente nei giorni di festa e soprattutto a Carnevale (che a Venezia durava 5 mesi), cominciando verso le 22 e continuando fino a tarda notte. Per godersi il listòn o per riposarsi ogni tanto, venivano disposte delle sedie lungo il camminamento. Le dame sfoggiavano i vestiti, i monili più belli e le acconciature più complicate, lanciando sguardi ammiccanti ai cavalieri.
Con il passare del tempo il listòn si spostò in piazza San Marco, dove diventò stabile durante l'estate e le sedie venivano affittate per cinque soldi l'una. Qui alla sera un gran numero di dame sfilavano civettando con i loro cavalieri o con qualche sconosciuto, agghindate come meglio potevano. Il via vai era intenso, come intenso era il fitto intreccio di segnali, sguardi e sorrisi e quant'altro si potesse fare nei corteggiamenti.
Di queste passeggiate riferisce, naturalmente, anche Giacomo Casanova nelle sue "Memorie".