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lunedì 12 marzo 2012

Modi di dire veneziani legati all'abbigliamento

Esistono diversi modi di dire tipici veneziani legati all'abbigliamento, vediamone alcuni:
- "Xè un altro per de maneghe" = quando l'oggetto in questione è lo stesso ma sembra nuovo, Nacque nel Settecento quando le possibilità economiche non permettevano di cambiare troppo spesso l'abito e così si modificavano solo le maniche: l'abito era sempre lo stesso ma sembrava nuovo!
- "La par la poereta del sabo" = quando una persona veste male. Ebbe origine dalla consuetudine dei mendicanti che chiedevano l'elemosina il sabato vicino alle chiese e, per impietosire la gente, vestivano di stracci.
- "De meza vigogna" = di poco pregio. La vigogna era un tessuto pregiato, così chiamato dall'animale che vive nelle Ande e dal quale si ricava una lana di alta qualità. Ma se si mescola questa lana con quella di pecora si ottiene un tessuto mediocre.
- "Tagiar tabarri" = spettegolare. Il tabarro era il mantello indossato dalle classi abbienti nel Settecento che i meno ricchi tagliavano da dietro, senza che il proprietario se n'accorgesse, per poi prenderlo il giro e denigrarlo, giacché malgrado la sua apparente ricchezza usava un abito a brandelli.
- "A giugno cavite 'l codegugno, ma no stalo impegnar parché no ti sa in lugio cosa che te pol capitar", è un invito a tenere sempre a portata di mano la vestaglia da casa (codegugno) perché il clima può sempre cambiare all'improvviso.
- "Guantiera" = nome dato al vassoio. Il termine deriva dall'abitudine d'offrire agli ospiti, durante le feste settecentesche, dei guanti bianchi distribuiti su vassoi d'argento.

(Fonte: M.C. Bizio)

martedì 25 gennaio 2011

Contaminazioni bizantine nella lingua veneziana

Parole ed espressioni quotidiane dei greci che vivevano a Venezia sono alla base di una particolare parlata, detta "venetogrecesca". Questo idioma lessicale è filtrato nella commedia dialettale (particolarmente viva nel Cinquecento) dove s'incontrano figure convenzionali come il recitatore del prologo, il vecchio innamorato, lo stradioto (soldato greco) millantatore.
Il dialetto veneziano ha preso in prestito circa 300 vocaboli  greci, molti riguardano il settore delle costruzioni e rivelano la diretta partecipazione di maestranze greche nell'edilizia veneta. Per fare qualche esempio: il pato de la scala è il pianerottolo, il pato de la porta, la soglia: dal greco patos, "pavimento". Di maggior rilievo è il liagò o diagò, cioè "luogo esposto al sole", da heliakos (Helios=Sole).
Ma il segno più evidente della prevalenza greca nel campo dei lavori edilizi è nascosto in una parola di uso comune: sproto. Oggi lo sproto, nel veneziano corrente, è un saccentone, un presuntuoso, Col suo corredo di sprotada, sprotezzo, sprotin e sprotar si rifà all'atteggiamento di superiorità che dovevano avere i capo-cantiere, chiamati in Grecia protomaistor, letteralmente "primo maestro", termine riferito specificamente al capo dei muratori e passato poi a designare il responsabile di un settore dell'Arsenale.
Ma come non ricordare il termine veneziano per designare la "forchetta": piron, in strettissima assonanza con il greco piruni!