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venerdì 24 luglio 2015

La voga alla veneta

Ci fa obbligo soffermarci, seppur brevemente, per sottolineare la nobiltà della voga alla veneta, che si differenzia da quella praticata in tutte le altre città di mare del mondo.
Già la posizione eretta e non seduta conferisce un'immagine di fierezza sconosciuta nelle altre realtà marine.
Se poi consideriamo la gondola, imbarcazione che incarna perfettamente questo concetto, non troviamo nessun natante che le si possa solo avvicinare per sviluppo tecnologico. Tredici essenze di legno diverse concorrono alla realizzazioni di questa magnifica barca, lunga circa 11 metri e costruita con forma asimmetrica per consentire una perfetta manovrabilità anche governandola da soli.
Prendiamo le forcole, gli scalmi dei nostri remi, sembrano meravigliose sculture che non trovano nessun paragone nelle altre culture marine.

Si può ben dire che la potenza della Serenissima si fondasse oltre che su uno spregiudicato spirito mercantile, sulle braccia delle su genti che, non bisogna dimenticarlo, fino al sedicesimo secolo vogavano nelle galee per libera scelta.
Potenti braccia avevano i nostri isolani che trasportavano le varie merci da una parte all'altra della laguna spingendo sui remi delle loro barche.

Chissà se erano giunte in città notizie circa Camus de Lorraine, geniale meccanico che costruiva automi per il re di Francia e che, nel primo Settecento, nel porto di Tolosa, sperimentò un gigantesco remo meccanico in grado di muovere grandi battelli in condizioni di acque calme. Nonostante il buon esito non fu incoraggiato dal suo sovrano e finì in miseria ramingo per l'Europa.
Non passò da Venezia, forse temeva di fare una brutta fine nella mani dei gondolieri!
Questi esosi rematori restituiscono l'incanto dell'esser trasportati per il canali della città accompagnati dallo sciabordio del remo.

Ci si domanda se, come era in uso in tutte le grandi città d'Europa per i portantini e i codega nel XVII secolo, anche i gondolieri portassero alla cintura la clessidra per valutare le proprie prestazioni.
Oggi, nella motorizzazione generale, oltre ai gondolieri, restano gruppi di appassionati che si raccolgono nelle associazioni sportive remiere, dove è anche possibile prendere lezioni di voga veneta, perpetuando quindi una tradizione millenaria.



(Fonte: Navigar in laguna. Fuga e Vianello. Edito da Mare di Carta)

venerdì 19 giugno 2015

Venezia è una regata

Ho fantasticato molto leggendo il libro “Venezia è una regata”. Ho fantasticato in lungo e in largo nello spazio: ho immaginato di tracciare dentro e intorno a Venezia, tutti i percorsi delle innumerevoli regate, e li ho immaginati simultaneamente, decine e decine di linee in movimento, tracciati, flussi, come una specie di circolazione sanguigna che solca l'organismo in cui la città è immersa, irrorando e ossigenando la sua vita.
Le regate sono simboli attivi, una pratica necessaria tanto quanto la manutenzione urbana, il restauro degli edifici, lo scavo del fondale fangoso dei rii. Le regate svolgono un compito di manutenzione della comunità, di tutte le comunità sparse fra il centro e le isole della laguna.
L'esperienza della voga veneta non ha molti eguali. E' difficile da confrontare con qualcos'altro. Apparentemente si potrebbe paragonare alla bicicletta, in fin dei conti, anche in quel caso il pilota è allo stesso tempo il carico e il motore del mezzo di trasporto. Ma in barca, vogando alla veneta, si sta in piedi, si avanza da fermi a forza di braccia. Le gambe non camminano, non pedalano, Danno anche loro una spinta, sì, ma puntellandosi senza fare un passo. Sono le braccia a far muovere tutto, e in avanti, non all'indietro come nella voga all'inglese. Ci si getta in avanti con le mani e le braccia, quasi abbozzando la fase iniziale di un tuffo.
Vogando all'inglese, la forza motrice corporea si ottiene raccogliendo le braccia al torace, richiamandole a sé. Nella voga alla veneziana si fa il contrario, si allontanano le braccia, via, con tutta la forza. E' un doppio pugno sferrato al mondo che ottiene l'effetto di attraversarlo scorrendoci sopra.
E' un gesto fossile, che viene da epoche lontane, ma che è ancora vivo e in buona salute.
Una necessità quotidiana che trovava e continua a trovare nella regata la sua festa, la sua forma assoluta, il suo fasto svincolato da scopi pratici ancora in vigore, come traghettare passeggeri da una riva all'altra del Canal Grande o portare in giro i turisti.

(dalla prefazione di Tiziano Scarpa – libro edito da San Marco Press Ltd e Supernova edizioni srl)

venerdì 21 ottobre 2011

Vela al terzo nella Laguna di Venezia

Tipica delle lagune venete, la vela la terzo è chiamata così perché le barche sono armate con una vela con l'antenna superiore fissata all'albero a circa un terzo della sua lunghezza: questo per contrastare il forte scarroccio generato dal fondo piatto e dal basso pescaggio dei natanti. Il grande timone mobile (che nell'acqua bassa si deve poter sollevare) delle barche con vela al terzo funge anche da deriva.
La forma della vela non è triangolare come nelle barche a vela normali ma trapezoidale, con un lato molto alto che supera anche l'albero stesso per poter catturare meglio il vento.
Nei secoli scorsi era l'unico mezzo di propulsione nella laguna veneta oltre ai remi. Le vele erano tutte colorate in modo diverso, per poter distinguere le varie barche anche da lontano.
In genera la vela viene sempre tenuta a sinistra dell'albero e, a seconda della direzione del vento, funziona anche appoggiata all'albero stesso. L'andatura migliore per questo tipo di vela è con il vento "al giardinetto", cioè proveniente da poppa e spostato di circa trenta gradi, ma può tenere anche una discreta bolina, cioè con il vento quasi di fronte.
Abbandonata per decenni a favore dei motori, la vela al terzo ha visto negli ultimi anni un rifiorire di associazioni di amanti delle tradizioni popolari che ne hanno riportato in auge l'uso. La laguna si presta molto al diporto e si possono vedere sempre più spesso delle vele colorate che, lente ma non troppo, percorrono la laguna veneziana in lungo e in largo: è un modo meraviglioso per godersi la natura nel silenzio delle barene, lontano dalla frenesia dei motori.

lunedì 12 luglio 2010

Fresco letterario in Canalasso

Giovedì scorso ho avuto l'opportunità di partecipare al "Fresco letterario in Canalasso 2010".
E' stata una bellissima esperienza: decine di barche a remi lungo il Canal Grande, veneziani appassionati e associazioni remiere, per non dimenticare il passato di Venezia, mangiando, bevendo, godendosi il tramonto e i racconti di Alberto Tosi Fei.
Io poi sono stato particolarmente fortunato giacché ero in compagnia di amici su una vera gondola!

Ma cos'è un "fresco"?
Si tratta di una antica tradizione veneziana, in pratica sono cortei di barche, così chiamati perché vi si prendeva il fresco nelle giornate calde. Tali incontri cominciavano dopo Pasqua e si svolgevano in occasione di feste o sagre, verso il calar del sole, vi si partecipava con la propria gondola, per mangiare, bere e ciacolare tra amici.

I freschi furono anche cantati dal poeta secentista Busanelli:

L'istae al fresco gondole a do remi 
Se vede in Canal Grande senza fin
E in mezzo l'armonia di un violin
Se va gridando sempre o stali o premi

Qui trovate alcune foto che ho scattato durante la serata
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